Presenteremo come Ireneo concepisca la teologia cristiana e come avverta la Chiesa di tutti i tempi ad evitare il pericolo di costruire delle false teologie.
Distinguere i veri cristiani dagli gnostici
I veri cristiani del II secolo più che fare teologia si impegnarono in una gara di martirio, a confessare con la vita quanto professavano con la fede.
Gli Gnostici ("conoscitori") invece, che vivevano ai margini delle comunità cristiane, gareggiavano nel fare teologia. Ma lo sforzo intellettuale di questi primi teologi era veramente il tentativo di creare una teologia "cristiana"? Senza banalizzare il loro sforzo intellettuale potremo dire che la loro riflessione sul messaggio di Cristo ne era uno stravolgimento.
Non è possibile dire qui, in sintesi, della loro dottrina, a causa della molteplicità delle scuole. Possiamo solo dire che avevano tre aspetti in comune: il fine, il metodo e il contenuto essenziale:
- Il fine era la soluzione del problema del male e la guida degli uomini alla salvezza.
- Il metodo, l'esclusione della fede, e quindi della Scrittura e della tradizione, e l'uso preponderante della filosofia platonica.
- Il contenuto era un miscuglio di cristianesimo e di filosofia con prevalenza di questa su quello.
Nasceva così una specie di "teologia del mito" che svuotava i contenuti del messaggio di Cristo ed era tanto più pericolosa in quanto non si trattava solo di un sistema filosofico, ma di una teologia ammantata di cristianesimo[1].
La reazione della Chiesa fu pronta ed efficace perché i grandi Padri, come Ignazio, Giustino e soprattutto Ireneo, sottolinearono l'aspetto ecclesiale della sapienza cristiana. Con Ireneo poi che aveva tutte le doti per essere un teologo, vengono gettate le basi per una sistematizzazione dei dati proposti dalla fede. Con lui nasce la vera teologia cristiana.
La vera teologia
Per Ireneo, sulla scia di Ignazio, Giustino, Melitone, la sapienza è Cristo; ma Cristo vive nella Chiesa, perciò vive nella comunione delle Chiese e nella loro tradizione. La sapienza cristiana è essenzialmente la sapienza della fede che trova nell'autorità della Chiesa la sua salvaguardia e si trasmette attraverso la successione degli Apostoli.
Fare teologia significa dunque riflettere sulla fede
che non si inventa ma si accetta,
che è unica per il dotto e per l'ignorante,
è "trasmessa", non "trovata";
non è soggetta ad arbitraria speculazione personale, ma custodita nella Chiesa con "tradizione" ininterrotta che risale a Cristo.
[1] Cf E. TONIOLO, S. Ireneo: la teologia della salvezza, in Riparazione mariana, LXI (1976) 5, 12-13.
A. Gila